Link

Eunews, il sito italiano che racconta l’Europa

eunews l'europa come non l'avete mai vistaUno spazio d’informazione rivolto a tutti coloro che sono interessati all’Europa: per lavoro, per studio, per curiosità o semplicemente perché hanno a cuore l’integrazione europea e il futuro del Vecchio Continente. Eunews è il primo sito italiano interamente dedicato a temi europei; dal settembre del 2012, la redazione con sede a Bruxelles racconta l’Europa, non solo quella politica e istituzionale, ma sempre di più l’Europa dei popoli, delle culture, delle piccole grandi storie che hanno cambiato per sempre il modo con cui le singole comunità nazionali si sentono in costante relazione tra loro. Alla vigilia di un voto per il Parlamento europeo decisivo per gli scenari e gli equilibri del continente, il fondatore e direttore di Eunews Lorenzo Robustelli ci parla del suo progetto e della ‘sua’ Europa.

Perché una testata on line interamente dedicata all’Europa? Da dove nasce questa esigenza? L’idea nasce innanzitutto dalla mia esperienza personale; lavorando a Bruxelles da tanti anni, mi ero reso conto che all’Italia mancava un mezzo d’informazione generalista che parlasse di Europa. Esistevano diversi prodotti informativi altamente specializzati e di settore, sull’agricoltura o sui trasporti per esempio, ma non c’erano spazi in cui si raccontasse l’Europa nel suo complesso. Da qui nacque l’esigenza di creare un prodotto che fosse in grado di avvicinare i cittadini all’Europa su temi e dibattiti dell’attualità generale e non solamente su singole questioni tecniche. Eunews vuole essere una fonte d’informazione per gli italiani interessati all’Europa, ma anche uno spazio rivolto a fruitori di altre nazionalità, grazie alla versione del sito in lingua inglese.

Quindi anche il vostro target è diversificato: chi è il ‘lettore tipo’? Inizialmente i lettori più assidui del nostro portale erano soprattutto addetti ai lavori di stanza a Bruxelles all’interno delle istituzioni europee (politici, funzionari, tecnici, professionisti, ecc.). Ma quasi subito, direi nel giro di pochi mesi, il sito cominciò a diffondersi fuori dalla cerchia istituzionale e ormai la grande maggioranza dei nostri lettori è composta da persone che vivono in Italia, molto variegate per professionalità e interessi.

I media tradizionali hanno storicamente avuto un legame molto stretto con le nazioni di riferimento. Quanto il web può contribuire ad allentare questo legame e quali elementi di resistenza permangono? Chiaramente il web può aiutare il superamento dei vincoli nazionali permettendo una diffusione su vasta scala delle informazioni. Ma il limite della lingua è ancora molto forte; persino la lingua inglese non è così diffusa come si pensa e persino tra gli addetti ai lavori non sempre è un elemento che aiuta la diffusione di conoscenza. Pensiamo, per esempio, alla recente chiusura di Presseurop, il servizio della Commissione Europea che forniva traduzioni di news e informazioni in dieci lingue europee (è stato sostituito dall’analogo servizio VoxEurop, ndr).

Eunews, si legge dalla presentazione ufficiale su sito, “si propone di essere uno degli attori che contribuiranno a creare un’opinione pubblica europea”. Quanto è distante il raggiungimento di questo obiettivo? Potrebbe anche non arrivare mai questo momento. Mi spiego: in realtà un’opinione dei cittadini sull’Europa esiste già e varia da Paese a Paese anche a seconda degli stimoli cui le popolazioni nazionali sono sottoposte. Per arrivare a un’opinione pubblica condivisa in chiave europea, occorre cominciare a discutere seriamente e coscientemente del nostro essere europei; più che i mezzi, però, ci vuole la volontà politica. Deve cambiare l’atteggiamento dei governi e della politica, che devono sostenere l’informazione sull’Europa e incentivare un racconto positivo di cosa è (e cosa fa) l’Europa.

Il vostro portale ha seguito da vicino i recenti dibattiti tra i candidati alla presidenza della Commissione Europea e, più in generale, la campagna elettorale in vista del voto del 25 maggio. Quanto è diffusa, secondo Lei, la consapevolezza a livello delle singole nazioni rispetto a un tanto importante appuntamento elettorale? Rispetto al passato c’è sicuramente un maggior coinvolgimento emotivo, vuoi anche perché la gente è molto arrabbiata e delusa dall’Europa. La presenza di cosiddetti ‘eurocritici’ paradossalmente ha fatto aumentare l’interesse di tutti verso un voto che può cambiare le istituzioni europee; questa tornata è davvero la più importante e decisiva mai affrontata. In diversi Paesi, la campagna elettorale è stata seguita proprio per i suoi risvolti profondamente continentali senza eccessive ricadute nazionali rispetto a quello che sarà l’esito delle urne.

Quali sono le maggiori responsabilità dell’informazione nell’allontanare o avvicinare le popolazioni nazionali al progetto europeo? Un’informazione approssimativa sull’Europa, come quella di molti media generalisti, che non approfondisce i dettagli né cerca di spiegare il funzionamento e i risultati delle istituzioni europee, non offre certamente un buon servizio all’europeizzazione delle popolazioni. Poi, i singoli Paesi ma ancor di più le singole testate, hanno atteggiamenti molto diversi anche in termini di spazi e risorse destinate alla conoscenza dei meccanismi comunitari. Gli inglesi, per esempio, pur nel loro tradizionale ‘euroscetticismo’, a Bruxelles sono molto presenti e organizzati, segno che hanno comunque interesse verso il progetto europeo. Quanto all’Italia, i difetti e i ritardi della nostra informazione rispetto all’Europa non sono un’eccezione, ma si ritrovano un po’ in tutti i Paesi; i giornalisti italiani, tra l’altro, sono tra i più presenti e i più competenti, sebbene alcuni media di primo piano (come Repubblica o Mediaset, per esempio) non hanno veri e propri corrispondenti a Bruxelles. Anche la composizione della struttura organizzativa, in un certo senso, è rivelatrice del grado d’interesse e d’importanza che un mezzo d’informazione riserva alle tematiche europee.

 

 

Link

Compie dieci anni Nawaat, il blog della diaspora tunisina

logo nawaat“Don’t hate the media, be the media”. Non odiate i media, siate i media. E’ lo slogan che campeggia sull’home-page di Nawaat, una piattaforma web nata esattamente dieci anni fa (era il 5 aprile 2004) e destinata a giocare un ruolo di primo piano nel panorama informativo, sociale e politico del Nord Africa, e non solo. Il progetto fu lanciato come blog collettivo grazie all’intuizione e al lavoro di alcuni esuli politici tunisini: Sami Ben Gharbia in Olanda, Riadh Guerfali e Malek Khadhraoui in Francia, un blogger con lo pseudonimo di Centrist nella regione canadese del Québec. “Nawaat.org – si legge nella pagina di presentazione del portale – è un blog collettivo che offre la parola a tutti coloro che, attraverso il loro impegno cittadino, la prendono, la supportano e la diffondono. […] Cosciente che la conquista della libertà di espressione è una lotta quotidiana da condurre in totale indipendenza, Nawaat non riceve finanziamenti da partiti e non accetta sovvenzioni pubbliche”. Attualmente, il blog è curato da uno staff di circa quindici persone a cui si aggiungono altri collaboratori occasionali che intendono pronunciarsi sui fatti della realtà tunisina.

La vocazione di autonomia e pluralismo della piattaforma è stata confermata nel corso di questi dieci anni, durante i quali Nawaat si è trasformato in una voce sempre più accreditata e autorevole della comunità diasporica tunisina, composta da esuli ed emigrati ormai di stanza in diversi Paesi occidentali. Il blog ha dato spazio a molteplici posizioni politiche e culturali, dai laici alla sinistra radicale ai movimenti islamisti, in particolare oppositori e vittime delle repressioni del regime di Ben Ali. Il salto di qualità nell’attività di contro-informazione di Nawaat è avvenuto in occasione dei rivolgimenti sociali delle “primavere arabe”; in primo luogo, attraverso la pubblicazione del cosiddetto “dossier Tunileaks“, traduzione di tutti i cablogrammi messi a disposizione da Wikileaks a proposito di Ben Ali e della situazione politica in Tunisia, che hanno svelato l’esistenza di una fitta rete di corruzione nell’economia e nella politica nazionali. Un altro momento in cui la piattaforma ha svolto un ruolo d’informazione alternativa rispetto ai media ufficiali e di catalizzatore della pluralità di voci tunisine sparse nel mondo ha riguardato la copertura dell’immolazione di Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante della città di Sidi Bouzid che si è dato fuoco il 17 dicembre 2010 per protestare contro il sequestro della propria merce; l’episodio è ritenuto da molti osservatori il detonatore che ha dato origine alla “primavera tunisina”, culminata con la cacciata di Ben Ali il 14 gennaio 2011.

Proprio a partire dal 2011, l’attività di Nawaat ha cominciato a raggiungere un pubblico sempre più vasto a livello globale; contestualmente sono arrivati i primi riconoscimenti internazionali, come il Reporters Without Borders Netizen Prize, per la copertura mediatica alternativa dell’inizio della rivolta tunisina, l’Index on Censorship Award, per la trasparenza e libertà d’espressione, e l’Electronic Frontier Foundation Pioneer Award, per l’intensa attività social e user-generated-content nella produzione e diffusione di contenuti e news attraverso la rete.

Link

Piazza Taksim e Twitter, la morte di Berkin Elvan è in rete

In Turchia sono tornate ad affacciarsi le manifestazioni di piazza contro il premier Recep Tayyip Erdogan, e con esse anche la mobilitazione sui social network e le diverse piattaforme web. A scatenare la rabbia della popolazione giovanile turca, è stata la notizia della morte del 15enne Berkin Elvan, che era rimasto gravemente ferito durante gli scontri a Gezi Park del maggio scorso. Finito in coma dopo essere stato colpito da un cartuccia di gas lacrimogeno lanciata dalle forze dell’ordine, il giovane Berkin è morto in seguito a 269 giorni di agonia. Decine di migliaia di giovani hanno invaso Piazza Taksim e le strade di Istanbul e di altre città turche. Contemporaneamente, la protesta e la mobilitazione, come avvenuto frequentemente durante le rivolte degli ultimi anni nei paesi arabi e nella stessa Turchia, ha preso anche la via della rete; Twitter è così diventato nel giro di poche ore il canale per veicolare rabbia e dolore, in un crescendo di partecipazione che ha subito varcato i confini dello stato turco.

turchia12031

L’hashtag #BerkinElvanOlumsuzdur (Berkin Elvan Immortale) ha assunto un carattere globale catalizzando messaggi di cordoglio provenienti da tutto il mondo; anche esponenti politici occidentali, giornalisti, opinion-makers e altre figure pubbliche di rilievo hanno voluto lasciare una testimonianza trasformando le piazze (reali e virtuali) turche in luoghi di condivisione di un sentimento diffuso e globale. Secondo i dati di Keyhole, il sito che misura in tempo reale il volume di discorsi e conversazioni prodotte sui social network, nel giro di due giorni l’hashtag dedicato al giovane ucciso ha raccolto circa 12 milioni di tweet su un totale di 14 milioni rivolti all’argomento. Il 75% dei tweets è stato ritwittato raggiungendo circa 70 milioni di utenti in tutto il mondo. Si tratta di un volume di commenti e di potenziale pubblico estremamente elevato, se si considera che in Turchia il numero di utenti Twitter non supera i 12 milioni.

Oltre a giovani e coetanei di Berkin Elvan e a tantissima gente comune, sono stati soprattutto giornalisti e operatori dell’informazione dei paesi europei e occidentali a utilizzare le piattaforme social per diffondere immagini e video delle manifestazioni, trasformando il funerale del ragazzo e le proteste di piazza in eventi globali in grado di rimbalzare sul web e di stimolare sinergie di diffusione tra vecchi e nuovi media.

Link

I media europei cambiano con la partecipazione

mediainitiative-300x132Si chiama Media Initiative ed è il nuovo portale web della European Initiative for Media Pluralism (EIMP), una campagna di promozione e sensibilizzazione di carattere transnazionale sorta con l’obiettivo di spingere la Commissione Europea ad adottare una direttiva a favore della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione. Il progetto nasce dalla collaborazione tra European Alternative e Alliance Internationale des Journalistes, due associazioni internazionali impegnate da anni nella promozione della partecipazione democratica attraverso i media e della responsabilità etica degli operatori dell’informazione.

Il sito Media Initiative coinvolge giornalisti, ricercatori, comunicatori di otto Paesi europei (Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Bulgaria, Ungheria e Cipro) ciascuno dei quali è dotato di un proprio ufficio territoriale, oltre a diversi partner quali associazioni, network di ricerca, agenzie di stampa e altre organizzazioni a vario titolo legate ai temi interessati dal progetto. Il portale svolge una duplice funzione di canale informativo (con news e articoli sia di rilievo internazionale, sia riguardanti le vicende interne dei singoli Paesi coinvolti) e di piattaforma di partecipazione sulla quale far convergere raccolte firme, petizioni, donazioni, proposte legislative dal basso incentrate sul mondo dell’informazione. Tra le campagne attualmente attivate sul portale, si segnalano Stop the #mediacide, per la protezione dei lavoratori dei media, Protect on line freedom, per l’allargamento dei diritti d’accesso a internet e la salvaguardia dei dati personali, Transparency should be the norm, per la sollecitazione di un intervento normativo a livello comunitario a favore della liberalizzazione e della risoluzione dei conflitti d’interesse tra sistema dei media e sistema politico.