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Piedone l’ungherese: Bud Spencer, Terence Hill e l’Europa dell’Est

Hanno fatto sorridere intere generazioni e contribuito a creare una sorta di sottogenere cinematografico della commedia italiana: una rivisitazione in chiave burbera e umoristica della tradizione nazionale dello spaghetti-western. Sin dagli anni Sessanta, Bud Spencer e Terence Hill (all’anagrafe, Carlo Pedersoli e Mario Girotti) si consolidarono come icone popolari presso il pubblico italiano; l’americanizzazione dei nomi d’arte era funzionale alla ricerca di un mercato e di un successo internazionali che effettivamente non tarderanno ad arrivare, persino laddove più inaspettati. Nell’Est oltrecortina. In Ungheria, soprattutto. Complice il cosiddetto ‘comunismo al gulasch’ introdotto da Kadar, fatto di parziali liberalizzazioni in diversi settori dell’economia e di una relativa tolleranza nei confronti del pluralismo politico e delle importazioni occidentali, negli anni Settanta e Ottanta l’Ungheria divenne uno degli esperimenti più avanzati e maturi tra le ‘democrazie popolari’ dell’Est Europa. A metà degli anni Ottanta, la televisione di Stato ungherese acquisiva oltre 600 programmi da Paesi occidentali e un cittadino su tre guardava regolarmente trasmissioni straniere. Nel 1985, il film Bomber (con il solo Pedersoli, senza la spalla) risultò campione d’incassi ai botteghini ungheresi con 1,8 milioni di biglietti venduti; nello stesso anno, si piazzò terzo Occhio alla penna, un altro film con Bud Spencer affiancato da Joe Bugner, attore britannico nato proprio in Ungheria. Pedersoli è un volto noto al pubblico ungherese, spesso anche ospite acclamato in diversi programmi televisivi.

La coppia Spencer-Hill è estremamente popolare in terra magiara, amata trasversalmente da tutte le generazioni e le classi sociali, che ne ricordano successi e tormentoni; grazie al web e ai media digitali, questa autentica passione nazionale sta vivendo una fase di rinascita e riproduzione con la comparsa di siti e pagine social dedicate ai due attori. Un portale molto diff

Kincs-ami-nincsuso è spencerhill.hu, un vero e proprio fan club interamente dedicato ai film e alle gesta della coppia italiana. Oltre a notizie dettagliate sulla produzione cinematografica e sulla carriera dei due popolari personaggi, è anche presente un sondaggio in cui votare la propria pellicola preferita: ad oggi, il film più amato dagli appassionati è Kincs, ami nincs (Chi trova un amico, trova un tesoro, regia di Sergio Corbucci, 1981, uscito in Ungheria nel 1984) davanti a És megint dühbe jövünk (Pari e dispari, 1978, acquisito nel 1981) e Nincs kettő négy nélkül (Non c’è due senza quattro, 1984, presentato al pubblico ungherese nel 1986).

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Muslim’ Show, il mondo arabo a fumetti

Raccontare l’islam e il mondo arabo con il linguaggio umoristico dei fumetti. E’ quanto tenta di fare dal 2009 Norédine Allam, giovane illustratore francese di origine algerina, ideatore di Muslim’ Show, una striscia a fumetti che indaga sentimenti, difetti e contraddizioni del variegato caleidoscopio musulmano. Il risultato è un prodotto seriale suddiviso in volumi tematici: sono già uscite tre storie incentrate rispettivamente sul ramadan, sul matrimonio e sulle relazioni di vicinato, tutti argomenti particolarmente sentiti all’interno del mondo islamico. Un quarto volume, sul tema della finanza, è in preparazione grazie al lavoro di Allam e dello staff dello Studio Bdouin, specializzato in grafica e illustrazione, che recentemente si è trasformato in vera e propria agenzia di comunicazione, realizzando campagne promozionali per aziende, enti e associazioni.

Grazie alla collaborazione di Greg Blondin, promettente illustratore francese, Muslim’ Show è diventato un prodotto di rilievo, esportato in decine di Paesi; tuttavia, nonostante l’incontro tra due grandi culture della fumettistica, quella francese e quella algerina (che abbiamo indagato e descritto in un articolo sul fenomeno dell’adattamento dei manga giapponesi), questa storia illustrata e umoristica di scene di vita della quotidianità musulmana fatica a sfondare nel mondo occidentale, mentre sta riscuotendo un discreto successo in Turchia e nel Sud-est asiatico. E’ probabile che presto Muslim’ Show possa prendere la via dell’animazione, almeno in Francia e in altri Paesi europei; ciò che sicuramente non si dovrà perdere è, invece, lo spirito originario dell’iniziativa, come esplicitata dallo stesso Allam: “Il desiderio primario era quello di creare una grande galleria di personaggi che illustrassero la comunità musulmana europea, le sue abitudini,  le sue attività, i suoi difetti, le sue qualità e soprattutto i suoi paradossi. Perchè se il Corano è perfetto, l’Uomo non lo è”. Un manifesto di leggerezza e cosmopolitismo.

European Press Prize, assegnati a Londra i riconoscimenti del giornalismo europeo

European-Press-Prize-le-eccellenze-del-giornalismo-europeo_largeGran Bretagna, Russia, Croazia, Norvegia. E’ questa la mappa della seconda edizione dell’European Press Prize, il riconoscimento continentale alle migliori espressioni del giornalismo assegnato lunedì 17 marzo a Londra. La giuria presieduta dal grande reporter britannico Harold Evans ha premiato quattro lavori d’eccellenza in altrettante sezioni: Investigative Reporting per il giornalismo d’inchiesta, The Distinguished Writing per il miglior reportage, The Commentator per il miglior editoriale, The Innovation per le tecniche e i progetti del giornalismo del futuro.

Nella prima categoria, il premio è stato assegnato al lavoro dal titolo The assets of the Ayatollah, dei cronisti Steve Stecklow, Babak Dehghanpisheh e Yeganeh Torbati e pubblicato dall’agenzia Reuters. Si tratta di un’ampia inchiesta in tre parti sull’impero economico e finanziario costruito negli anni dall’Ayatollah Khamenei, la massima autorità religiosa iraniana che controlla e gestisce delicate relazioni politiche, governative e militari con i Paesi occidentali.iran1a

Nella sezione dedicata ai reportage, il riconoscimento è andato al giornalista russo Sergey Khazov per una serie di articoli apparsi sul magazine del New York Times con titoli come Forbidden Islam, Vietnam Town, The man in orange, tutti incentrati sulla vita e la difficile condizione delle minoranze etniche e dell’universo giovanile omosessuale e transessuale nella Russia di Putin.

La terza sezione ha visto prevalere il giornalista croato Boris Dežulović con la riflessione apparsa sul settimanale Globus dal titolo Vukovar: a life-size monument to the dead city: un viaggio nella città-simbolo dell’orrore, della distruzione e della guerra che hanno devastato l’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta.

Infine, il premio per l’innovazione è andato a un progetto di giornalismo digitale messo a punto da un team di professionisti norvegesi e pubblicato in patria sul quotidiano Dagbladet con il titolo di Null CTRL. Menzioni speciali sono state assegnate al commentatore turco Yavuz Baydar che dalle colonne del suo giornale ha criticato la copertura effettuata in occasione delle proteste di Gezi Park, e ai giornalisti Alan Rusbridger del Guardian e Wolfgang Buchner di Der Spiegel per la pubblicazione di documenti della National Security Agency sui programmi di sorveglianza e controllo dei governi di Stati Uniti e Gran Bretagna.

European Press Prize è un progetto che coinvolge tutti i 47 Paesi europei ed è stato fondato nel 2012 grazie all’iniziativa di fondazioni, enti e centri di ricerca sui media e il giornalismo provenienti da Gran Bretagna, Danimarca, Olanda e Repubblica Ceca. 

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Piazza Taksim e Twitter, la morte di Berkin Elvan è in rete

In Turchia sono tornate ad affacciarsi le manifestazioni di piazza contro il premier Recep Tayyip Erdogan, e con esse anche la mobilitazione sui social network e le diverse piattaforme web. A scatenare la rabbia della popolazione giovanile turca, è stata la notizia della morte del 15enne Berkin Elvan, che era rimasto gravemente ferito durante gli scontri a Gezi Park del maggio scorso. Finito in coma dopo essere stato colpito da un cartuccia di gas lacrimogeno lanciata dalle forze dell’ordine, il giovane Berkin è morto in seguito a 269 giorni di agonia. Decine di migliaia di giovani hanno invaso Piazza Taksim e le strade di Istanbul e di altre città turche. Contemporaneamente, la protesta e la mobilitazione, come avvenuto frequentemente durante le rivolte degli ultimi anni nei paesi arabi e nella stessa Turchia, ha preso anche la via della rete; Twitter è così diventato nel giro di poche ore il canale per veicolare rabbia e dolore, in un crescendo di partecipazione che ha subito varcato i confini dello stato turco.

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L’hashtag #BerkinElvanOlumsuzdur (Berkin Elvan Immortale) ha assunto un carattere globale catalizzando messaggi di cordoglio provenienti da tutto il mondo; anche esponenti politici occidentali, giornalisti, opinion-makers e altre figure pubbliche di rilievo hanno voluto lasciare una testimonianza trasformando le piazze (reali e virtuali) turche in luoghi di condivisione di un sentimento diffuso e globale. Secondo i dati di Keyhole, il sito che misura in tempo reale il volume di discorsi e conversazioni prodotte sui social network, nel giro di due giorni l’hashtag dedicato al giovane ucciso ha raccolto circa 12 milioni di tweet su un totale di 14 milioni rivolti all’argomento. Il 75% dei tweets è stato ritwittato raggiungendo circa 70 milioni di utenti in tutto il mondo. Si tratta di un volume di commenti e di potenziale pubblico estremamente elevato, se si considera che in Turchia il numero di utenti Twitter non supera i 12 milioni.

Oltre a giovani e coetanei di Berkin Elvan e a tantissima gente comune, sono stati soprattutto giornalisti e operatori dell’informazione dei paesi europei e occidentali a utilizzare le piattaforme social per diffondere immagini e video delle manifestazioni, trasformando il funerale del ragazzo e le proteste di piazza in eventi globali in grado di rimbalzare sul web e di stimolare sinergie di diffusione tra vecchi e nuovi media.

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All-Tv, la prima web-tv multietnica italiana

La prima web-tv cosmopolita mai realizzata in Italia è attiva on line dalla fine del 2013: si chiama All-Tv, ha sede a Milano, ed è stata creata grazie all’intuito di Jean Claude Mbede Fouda, giornalista camerunense in Italia dal 2007. Grazie alla somma di 15mila euro ottenuta dal Fondo europeo per i rifugiati, Fouda ha dato vita a un progetto che punta a integrare raccontando, a favorire l’acquisizione di una consapevolezza di cittadinanza attraverso la comunicazione. All-Tv, grazie a una redazione ristretta ma multiculturale, rompe con una tradizione radicata non solo in Italia, ma in gran parte dei Paesi occidentali, ovvero quella di comunità etniche chiuse e omogenee dotate di propri canali di comunicazione, spesso nella lingua d’origine. Il progetto di Fouda punta a sovvertire questa tendenza, uscendo dal recinto dei media etnici per entrare nel campo aperto, tutto da scoprire, dei media cosmopoliti, strumento di coesione e dialogo tra comunità diverse. Per questo motivo, la web-tv ofrre servizi esclusivamente in lingua italiana, lasciando tuttavia spazio alle singole specificità linguistiche in appositi blog curati dai corrispondenti.

All-tv alterna news di carattere nazionale e internazionale con informazioni, curiosità e notizie di pubblica utilità provenienti dai quartieri di Milano, dalle piccole realtà dell’hinterland, o da altre province lombarde, in attesa di espandersi anche in altre zone d’Italia. Particolare risalto hanno luoghi e momenti come le feste popolari delle comunità etniche, i consigli comunali, consolati e ambasciate, e anche aspetti socio-culturali e della quotidianità come matrimoni, eventi sportivi, concerti etnici, nella convinzione che la piena integrazione passa dalla condivisione e dal rispetto di codici, simboli, tradizioni.

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‘The Samaritans’, arriva dal Kenya la fiction (ironica) sulle Ong

Una fiction che svela le ipocrisie e le contraddizioni di certe ong e associazioni operanti in contesti in via di sviluppo. Una produzione indipendente che sfrutta meccanismi e linguaggi tipici della serialità televisiva adattandoli al contesto del web e alle sue opportunità. ‘The Samaritans‘ è un progetto che coniuga ironia, denuncia, partecipazione dell’utente, nato in Africa e osservato con curiosità e interesse in tutto il mondo occidentale. Si tratta di una realizzazione della Xeinium Production, casa di produzione con sede a Nairobi; obiettivo del prodotto (e del regista Hussein Kurji) è quello di raccontare le attività delle organizzazioni non governative enfatizzandone il lato meno nobile e i difetti, pur dentro una cornice satirica che punta a divertire lo spettatore senza rinunciare a una riflessione critica.

I protagonisti di ‘The Samaritans’ sono giovani occidentali dipendenti dell’ong (fittizia) Aid for Aid, la cui missione sembra più di facciata che di sostanza: tra aggiornamento dei profili dei social network, cene nei ristoranti più esclusivi della capitale kenyota e improbabili battute di caccia nei confronti di specie animali da proteggere, le giornate dei volontari e degli operatori umanitari assumono un carattere grottesco in relazione agli obiettivi e alle aspettative che gli autoctoni ripongono in loro. Il risultato è una commedia pensata per far ridere, un mockumentary in cui aspetti reali della vita quotidiana vengono volutamente estremizzati in parodia. L’altra particolarità della serie è che si tratta (per il momento) di un prodotto fruibile esclusivamente dalla rete: le prime puntate sono andate on line nell’ottobre del 2013 sulla piattaforma di crowdfunding Kickstarter. Finanziato nel 2012 per la cifra di 10mila euro, il progetto è visibile solo attraverso una donazione sul sito, in attesa che le tv occidentali possano mostrarsi interessate all’acquisizione dei diritti.

Il tema delle attività delle organizzazioni non governative e di volontariato non è nuovo per il mondo della televisione e dei media: nel mese di dicembre, infatti, il servizio pubblico italiano della Rai è stato al centro di molteplici proteste (tra le altre, quella della Presidente della Camera Laura Boldrini) per la decisione di produrre e mandare in onda il reality Mission, in cui personaggi dello spettacolo venivano mandati a svolgere opera di sostegno nei campi profughi di Giordania e Mali, Ecuador e Sudan. Tra fiction e reality, servizio pubblico e produzioni indipendenti, è possibile ipotizzare che il vasto e controverso mondo degli aiuti umanitari possa trovare sempre più spazio di rappresentazione nelle diverse forme mediali.

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Dal Giappone all’Algeria: i DZ manga in chiave nazionalista

E’ un fenomeno per certi versi inedito e inaspettato quello che sta spopolando da circa sei anni nella sempre turbolenta Algeria di Bouteflika: si tratta della diffusione crescente di manga, i celebri fumetti giapponesi, una vera e propria mania che ha preso piede tra le giovani generazioni. Nati nel 2008 grazie all’intuizione della casa editrice Z-Link, i manga algerini (ribattezzati DZ manga, dalla sigla internazionale che identifica il Paese nordafricano) rappresentano uno dei più lampanti e fortunati esempi del processo di adattamento e modellamento locale di prodotti circolanti su scala globale.

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Tutte le storie narrate mettono in risalto elementi tipici della società algerina, le aspirazioni e le dure fatiche della quotidianità, come Victory Road degli autori Oudjiane Sid-Ali e Ait-Hamou Riadh, la vicenda di un gruppo di giovani e della loro squadra di calcio. Grande successo e diffusione hanno, inoltre, i fumetti di chiara impronta nazionalista: due prodotti come Le Drapeau (di Hanane Benmediouni) e Le vent de la libertè (di Sofiane Belaskri) ripropongono sotto le insegne di un nuovo linguaggio mediale il radicato sentimento anti-francese degli anni della Guerra d’Algeria e del Front de Libération Nationale.

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I Dz Manga sono pubblicati in francese, in arabo e in berbero, una pluralità linguistica che ha l’intenzione di coagulare e far incontrare le diverse comunità del Paese intorno a un nuovo fenomeno di massa. Da leggersi da destra a sinistra come gli originali giapponesi, i manga algerini stanno vivendo un’autentica esplosione, con una crescita del volume delle copie vendute dal 40% del 2008 al 70% dello scorso anno e la nascita del bimestrale di settore Laabstore rivolto agli appassionati del genere, venduto in circa 10mila copie. La riproposizione in chiave localistica e nazionale di una forma di comunicazione originaria di un Paese profondamente diverso ha risvegliato in Algeria l’attenzione verso un linguaggio che aveva avuto un discreto successo nel corso degli anni ’70 e ’80: grazie all’importazione dei manga, il Paese nordafricano ha riscoperto l’antica scuola fumettistica, riproponendo a partire dal 2008 il Festival Internationale de la Bande Dessinée d’Algiers (FIBDA), dopo quasi vent’anni dall’ultima rassegna sul genere organizzata dagli artisti nazionali.

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I media europei cambiano con la partecipazione

mediainitiative-300x132Si chiama Media Initiative ed è il nuovo portale web della European Initiative for Media Pluralism (EIMP), una campagna di promozione e sensibilizzazione di carattere transnazionale sorta con l’obiettivo di spingere la Commissione Europea ad adottare una direttiva a favore della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione. Il progetto nasce dalla collaborazione tra European Alternative e Alliance Internationale des Journalistes, due associazioni internazionali impegnate da anni nella promozione della partecipazione democratica attraverso i media e della responsabilità etica degli operatori dell’informazione.

Il sito Media Initiative coinvolge giornalisti, ricercatori, comunicatori di otto Paesi europei (Italia, Gran Bretagna, Germania, Francia, Belgio, Bulgaria, Ungheria e Cipro) ciascuno dei quali è dotato di un proprio ufficio territoriale, oltre a diversi partner quali associazioni, network di ricerca, agenzie di stampa e altre organizzazioni a vario titolo legate ai temi interessati dal progetto. Il portale svolge una duplice funzione di canale informativo (con news e articoli sia di rilievo internazionale, sia riguardanti le vicende interne dei singoli Paesi coinvolti) e di piattaforma di partecipazione sulla quale far convergere raccolte firme, petizioni, donazioni, proposte legislative dal basso incentrate sul mondo dell’informazione. Tra le campagne attualmente attivate sul portale, si segnalano Stop the #mediacide, per la protezione dei lavoratori dei media, Protect on line freedom, per l’allargamento dei diritti d’accesso a internet e la salvaguardia dei dati personali, Transparency should be the norm, per la sollecitazione di un intervento normativo a livello comunitario a favore della liberalizzazione e della risoluzione dei conflitti d’interesse tra sistema dei media e sistema politico. 

Libertà d’informazione, la graduatoria di Reporters sans Frontières

Nei giorni scorsi Reporters sans Frontières, l’organizzazione internazionale che monitora la libertà d’informazione nei vari Paesi del mondo, ha reso noto l’indice annuale. Non si evidenziano grossi discostamenti rispetto alle rilevazioni degli anni precedenti, segno di tendenze ormai consolidate nel grado di libertà di stampa delle singole nazioni. Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia guidano, come da diversi anni a questa parte, la speciale graduatoria, chiusa da Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.

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L’Europa si conferma come il continente più avanzato dal punto di vista della libertà dei media, nonostante permanga un forte divario tra i Paesi centro-settentrionali e quelli meridionali, tra i quali solamente l’Italia fa registrare un notevole balzo in avanti risalendo dalla 57° alla 49° posizione. I profondi squilibri tra Paesi scandinavi e dell’Europa centrale da un lato, e quelli mediterranei dall’altro, riflettono differenze strutturali che investono aspetti quali l’etica e l’autonomia professionali, le relazioni con il sistema politico, le libertà individuali garantite da solide cornici costituzionali, che sono radicati nella storia culturale e comunicativa di ciascun Paese.

La mappa mondiale della libertà di stampa mette in risalto l’esistenza di aree (geografiche e culturali) caratterizzate da tendenze e criticità comuni. Casi di situazioni considerate “buone” o “soddisfacenti” riguardano, oltre ai già citati esempi scandinavi e dell’Europa centro-settentrionale, anche Paesi e sistemi dei media di matrice anglo-sassone (Gran Bretagna e Stati Uniti, ma anche Canada, Irlanda, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica); aree “sensibili” e talvolta soggette a pericolose regressioni sono, invece, quelle dell’America Latina (dove prosegue la “caduta libera” del Brasile, in controtendenza rispetto allo sviluppo economico), dell’Africa sub-sahariana e dei Balcani, dove spiccano i pesanti arretramenti di Paesi come Bulgaria, Macedonia e soprattutto la Grecia, che nell’ultimo anno ha vissuto la drammatica vicenda della chiusura dell’ERT, il servizio pubblico radio-televisivo nazionale. Situazione catalogata come “difficile” è quella dei Paesi arabi; tanto nel Nord Africa quanto nel Medio Oriente, le cosiddette “primavere” non hanno inciso sulla progressiva libertà dei media, quanto su inasprimento delle forme di controllo, censura e repressione da parte dei regimi e delle forze governative: perde posizioni la Tunisia, mentre risalgono leggermente Libia ed Egitto, fermi tuttavia al 123° e 158° posto. Infine, la situazione è “seria” e preoccupante nei Paesi attraversati da regimi o sultanati, segno tangibile del legame inscindibile tra democrazia e libertà dell’informazione.