Raccontare la ‘primavera egiziana’ attraverso tavole
illustrate, mescolando le tecniche e i linguaggi del fumetto e del reportage. E’ quanto ha fatto un paio d’anni fa Pino Creanza con ‘Cairo Blues’, un progetto di graphic journalism uscito per Giuda Edizioni (è possibile scaricarne uno stralcio qui) Pugliese di Altamura, ingegnere di professione, Pino Creanza coltiva da diverso tempo la passione e l’interesse per i fumetti e le arti visive. Autore delle strisce a fumetti del Prof. Knox, collabora con Il Manifesto, XL di Repubblica e diverse riviste di settore e non solo. ‘Cairo Blues’ è un mosaico di storie che s’intrecciano sullo sfondo di una capitale egiziana catturata nei giorni convulsi dei rivolgimenti sociali che hanno portato alla caduta di Mubarak. Il risultato è un affresco, tenero e spietato allo stesso tempo, di una società alle prese con disuguaglianze e ingiustizie inestirpabili ma anche del calore e dell’umanità che trasudano dalle singole storie di vita. Un prodotto creativo che ci trascina dentro un mondo sconosciuto, cercando di ribaltarne i pregiudizi e gli stereotipi che l’accompagnano. L’autore ha accettato di raccontarci, in una breve intervista, il senso del suo lavoro e della sua attività di illustratore.
Come e perché nasce il progetto ‘Cairo Blues’? Perchè questo titolo? ‘Cairo Blues’ nasce come una serie di episodi brevi, realizzati per un mensile di fumetti italiano, ANIMAls, che è uscito per un paio di anni fino al 2011. Inizialmente, l’idea era semplicemente quella di raccontare la città del Cairo attraverso brevi ‘ritratti’ di situazioni e luoghi meno battuti dal turista medio, basandomi essenzialmente sui miei appunti di viaggio. ‘Cairo Blues’ è il titolo di una canzone dei Radioderwish che ascoltavo spesso qualche anno fa e che ha fatto da colonna sonora alle prime storie che ho disegnato; il blues poi è una musica malinconica e vitale al tempo stesso, una musica di perdenti che ha in sé il calore e la vitalità dell’Africa, e questo ben si adatta alla capitale egiziana.
‘Cairo Blues’ è una sorta di reportage giornalistico nel linguaggio del fumetto.
Perché questa impegnativa scelta di genere? Non c’è molta finzione in ‘Cairo Blues’, ma una interpretazione ‘poetica’ della realtà, filtrata secondo la mia sensibilità. Il linguaggio del fumetto mi è famigliare, è un linguaggio che amo e che ho cercato di esplorare in diverse direzioni, anche quella della finzione pura delle mie strisce comiche. Ho creduto che la forza delle immagini disegnate e quella di un testo essenziale ma curato avrebbero potuto raccontare al meglio la realtà complessa dell’Egitto in trasformazione.
Lei è un italiano che ha viaggiato molto in Egitto. Che rapporto c’è tra i due paesi? Che peso hanno avuto le somiglianze, i luoghi comuni, le diffidenze nella Sua opera? Sono stato più volte in Egitto per ragioni di lavoro, ormai diversi anni fa. Quello che in seguito a questi brevi viaggi è scattato in me è stato il desiderio, quasi la necessità, di conoscere meglio un paese e una cultura così vicini a noi e al tempo stesso così distanti; proprio per mettere in una prospettiva più consapevole le somiglianze, i luoghi comuni, le diffidenze. Devo dire che ho sviluppato una certa empatia verso la gente del Cairo, la loro vita operosa, il loro non arrendersi alle difficoltà e alla mancanza di mezzi. C’è qualcosa, soprattutto nella città vecchia, il cosiddetto ‘Cairo Islamico’, che mi ha riportato al sud della mia infanzia, le piccole botteghe degli artigiani, i venditori ambulanti, il godere delle cose semplici della vita…
La protagonista assoluta del racconto è Il Cairo durante la ‘primavera’, una città di cui Lei enfatizza le contraddizioni. Quali sono le più evidenti? La cosiddetta primavera araba ha solo evidenziato in maniera se vogliamo drammatica le contraddizioni di società ‘malate’ da troppo tempo. La malattia è quella di un potere oligarchico – nel caso dell’Egitto un’oligarchia soprattutto finanziario-militare – che sfrutta a vantaggio
suo e delle proprie clientele le risorse del paese, sacrificando lo sviluppo sociale e umano della gran massa delle persone. L’Egitto rimane un paese con livelli di diseguaglianza altissimi e larghe fasce della popolazione che vivono ai margini della povertà. Sono cose che l’occidente conosce bene, perché è complice di queste ingiustizie; non dimentichiamo che Mubarak era considerato un partner affidabile dai governi europei.
Sul Suo blog ‘Silly Tragedies‘ continua a pubblicare strisce e racconti a fumetti, tutti ambientati in Paesi e contesti difficili: Cuba, Palestina, ecc. Quale ruolo potranno avere in futuro le graphic novels nel fare denuncia e informazione? Intravede spazi importanti di diffusione in questo senso? Sì, vedo che si stanno aprendo timidi spiragli per il fumetto di realtà e il giornalismo grafico. Il tempo delle riviste ‘contenitore’ a fumetti è forse finito per sempre, ma potremo in futuro trovare sempre più fumetti nelle riviste che trattano temi di attualità. Almeno questo è quello che mi auguro.
Ha altri progetti simili in cantiere? Progetti lunghi e articolati come ‘Cairo Blues’ al momento no. Continua però la mia collaborazione con il bimensile di geopolitica EAST e ho in cantiere qualche viaggio interessante. Chissà…