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La fiction nel mondo arabo tra Ramadan e nuove tendenze

Non solo preghiera e digiuno; il Ramadan è anche fiction e televisione. Da qualche anno, infatti, nel mondo arabo spopolano le cosiddette musalsalat, ovvero fiction e prodotti seriali, dei quali la maggior parte hanno una durata complessiva di trenta giorni e vengono trasmessi durante il periodo di riflessione e raccoglimento più importante della religione musulmana. Già almeno a partire dagli anni Ottanta, le fiction hanno rappresentato un terreno privilegiato dei regimi e delle élites arabe, che proprio attraverso le storie a puntate raccontate attraverso il piccolo schermo potevano mitigare e introdurre nell’opinione pubblica quei temi ‘scomodi’ che difficilmente trovavano spazio nell’informazione e nella propaganda ufficiale. L’Egitto è il Paese che presenta la migliore tradizione di produzione di fiction nazionali, i cui tratti specifici rimangono ancorati all’impostazione laica e modernizzatrice del periodo nasseriano e nascondono una forte impronta anti-conservatrice; tuttavia, dopo la ‘primavera’ del 2011 e la destituzione del leader della Fratellanza Musulmana Mohammed Morsi, il numero di prodotti seriali egiziani è calato drasticamente e commedie e melodrammi (più facilmente esportabili anche su network panarabi come MBC o Dubai TN) hanno soppiantato le fiction più ‘impegnate’.

Un Paese dove, al contrario, la produzione di fiction è in costante ascesa è la Siria; come ben documentato in un recente libro di Donatella Della Ratta, in Siria esistono decine di fiction utilizzate e promosse dal regime di Bashar al-Asad come strumenti per la diffusione di una visione laica della società, tanto da affrontare temi complessi come il dialogo interreligioso, l’estremismo, l’emancipazione della figura femminile (una di queste, Ma malakat Aymanukum, tradotta in italiano con Tre donne, è stata trasmessa per un breve periodo anche da Babel, canale multietnico del pacchetto Sky chiuso lo scorso marzo). A rischiare di indebolire la produzione di fiction nazionali in Siria, tuttavia, è proprio la situazione instabile del Paese; molti artisti, registi, produttori, sceneggiatori sono infatti emigrati all’estero da dove continuano a produrre musalasalat nell’ormai rodato format dei trenta giorni. E proprio l’esilio forzato di alcuni dei migliori autori siriani di fiction potrebbe rappresentare la base per l’ascesa di un fenomeno nuovo: la produzione di fiction panarabe disancorate dai confini nazionali destinate ad avere ampi margini di mercato. Già nel corso dell’ultimo Ramadan (giugno-luglio 2014), alcuni dei prodotti seriali che hanno ottenuto maggiore successo, come Al-Ikhwah (‘Fratelli’) o Halawat al-Ruh (‘La dolcezza dell’anima’), sono il risultato della cooperazione produttiva tra Egitto, Libano, Siria e Paesi del Nord Africa; quest’inedita alleanza panaraba è solamente all’inizio, ma promette di lanciare la sfida e insidiare il primato di importanti tradizioni del melodramma televisivo, come quella turca e quella iraniana, in una sorta di competizione mediatica che nasconde anche interessanti e delicati risvolti geo-politici in un’area del mondo turbolenta e costantemente soggetta a profondi mutamenti.