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Calcio in tv, in Italia torna la Championship inglese

championshipnpowerSulla tv italiana torna la Championship, l’affascinante corrispettivo della nostra Serie B. Ad aggiudicarsi i diritti è stata Gazzetta TV, l’emittente sportiva del gruppo Rcs che trasmette sul canale 59 del digitale terrestre. Esclusiva per anni di Sportitalia, la Championship era scomparsa dai palinsesti nazionali da tempo e ora torna grazie all’offerta del canale legato allo storico quotidiano rosa, che lo scorso mese ha mandato in onda tutte le partite della Copa America di calcio, l’importante torneo delle nazionali sudamericane vinto dal Cile padrone di casa. Che sia proprio questa la nuova strategia di Gazzetta TV? Quella di puntare su tornei e campionati stranieri lasciati liberi dai grandi colossi della pay-tv? Di certo, sia la Copa America che la Championship non rappresentano affatto campionati ‘minori’, potendo contare su un discreto numero di appassionati in tutto il mondo e su uno spettacolo (calcistico e di contorno) di grande livello. La visione in chiaro della Championship è un tratto distintivo italiano sin dai tempi di Sportitalia; in Inghilterra, infatti, alcune partite vanno in onda su Sky Sports, mentre in Francia vengono trasmesse da beIN Sports, il network di canali sportivi a pagamento di proprietà di Al Jazeera.

Resta da capire come Gazzetta TV riuscirà a far fronte a un volume di diritti che, come noto, in Inghilterra tocca punte da capogiro. Per fare l’esempio riportato da Football Religion, nella stagione 2013-14, la squadra del Cardiff, ultima classificata della Premier League, il massimo campionato inglese, ha incassato 74,5 milioni di euro contro i 36,9 del Bayern Monaco, vincitore della Bundesliga tedesca e squadra di blasone europeo e mondiale. Ciò spiega, in parte, anche l’avvincente bellezza della Serie B inglese, dove a fianco dell’indubbia forza della tradizione, c’è anche una competitività agonistica legata alla possibilità per le 24 squadre (uno dei campionati più lunghi d’Europa) di arrivare tra le prime tre e accedere così al Paradiso dorato della Premier.

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Slow Tv, il fascino della lentezza sulla tv norvegese

Chi l’ha detto che la noia non può funzionare in televisione? Davvero la lentezza è nemica dell’intrattenimento? A giudicare da quel che accade da alcuni anni in Norvegia, sembrerebbe di no. ‘Slow Tv‘ è il nome con cui viene identificato questo inedito fenomeno sociale e mediatico che sta trasformando usi e consumi della televisione nel placido e tranquillo Paese scandinavo. La definizione, tuttavia, rende solo parzialmente idea del successo e delle sue motivazioni più profonde. Paesaggi mozzafiato, memorie personali, relax immersivo dopo una giornata frenetica, recupero di un’identità nazionale; tutto questo si fonde nei programmi (se così si possono chiamare) che la NRK, la tv pubblica norvegese, ha lanciato nei propri palinsesti come autentica scommessa e sfida ai format più diffusi. Già nella stagione 2009-10, per esempio, il primo esperimento di ‘Slow Tv’ coinvolse complessivamente 1.200.000 spettatori, più del 20% dell’intera popolazione nazionale che si attesta intorno ai 5 milioni: si trattava, nientemeno, del programma ‘Bergensbanen – minutt for minutt‘, la diretta completa di un viaggio in treno da Bergen a Oslo della durata complessiva di 7 ore e 14 minuti.

Poco dopo, è stata la volta di ‘Hurtigruten – minutt for minutt‘, la diretta di ben 134 ore (!) di una crociera lungo le coste norvegesi. Ciò che sorprende, nel relativo successo di pubblico della ‘Slow Tv’ è il fatto di trovarsi di fronte a un fenomeno non pienamente spiegabile con le categorie classiche della televisione; considerato una risposta all’invasione dei reality, dei factual, dei talent, dei canali all news dove deve sempre accadere qualcosa di eclatante, il fenomeno della ‘televisione lenta’ nasconde il proprio segreto proprio nella capacità di non far succedere sostanzialmente nulla per ore e ore. Eppure, a ben guardare, della real tv, del factual o del docu mostra l’aspetto più crudo ed essenziale, senza commenti o interruzioni.

Ecco perchè c’è chi si spinge a considerarlo un vero e proprio nuovo genere, meritevole di studi, analisi e approfondimenti meno ironici e superficiali di quelli che ne hanno accompagnato gli esordi: un seguitissimo blog (slowtelevision.blogspot) è nato proprio con l’intento di fornire una base teorica e scientifica al fenomeno, indagandone la storia, le prospettive, gli effetti sugli spettatori, gli adattamenti. Già, perchè naturalmente la ‘Slow Tv’ ha già varcato i confini norvegesi: accortasi dell’interesse che le serie scandinave generavano sul pubblico inglese, la BBC ha subito intrapreso una propria sperimentazione del genere, dedicando il proprio BBC Four a ‘dirette’ come ‘Dawn Chorus: The Sounds of Spring‘ o il tour di tre ore della National Gallery. E persino gli Stati Uniti, attraverso l’interessamento della piccola casa di produzione indipendente LMNO, sembrano in procinto di farsi coinvolgere dal fascino ambiguo e discreto di una televisione che, una volta tanto, non sembra avere fretta.

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Benefits Street, se la povertà diventa un format

Una strada di periferia, un contesto di difficoltà e degrado sociale, una telecamera che riprende scene di vita quotidiana mescolando lo sguardo profondo e documentaristico dell’inchiesta con il linguaggio serrato e leggero tipico del reality. Sono questi gli ingredienti di un format innovativo che ha letteralmente spopolato in Inghilterra nel corso dell’ultimo anno; Benefits Street, questo il nome del programma trasmesso dall’emittente di servizio pubblico Channel 4, è divenuto un vero e proprio fenomeno televisivo, trascinando una rete solitamente stabile intorno al 6% a punte del 20-21% pari a oltre 5 milioni di telespettatori.

Il documentario, girato interamente in una via della periferia di Birmingham, precisamente James Turner Street, è andato in onda per la prima volta il 6 gennaio del 2014 e si è protratto per cinque puntate; l’obiettivo era quello di raccontare la vita e il disagio di un quartiere dove regna la disoccupazione e dove oltre il 90% della popolazione vive grazie a sussidi statali (i cosiddetti benefits, appunto). Il successo di ascolti della trasmissione, tuttavia, si è accompagnato a polemiche circa le modalità della sua realizzazione, che hanno coinvolto tanto Channel 4, quanto la casa di produzione Love Productions, specializzata in generi come il docu-reality, il factual, i contenitori pomeridiani e l’intrattenimento in tutte le sue forme. Le critiche hanno riguardato l’opportunità di dare vita a uno show con al centro la povertà; la vicenda di Benefits Street è arrivata anche al Parlamento britannico, dove il cuore del dibattito è stato occupato sia dall’efficacia delle politiche di welfare, sia da questioni etiche relative al rispetto della dignità delle persone in condizioni di indigenza e sul racconto della povertà nella forma dell’intrattenimento e del reality-show.

 

Non solo; proprio per questo motivo, la messa in onda della seconda stagione del programma, già registrata lo scorso autunno nel quartiere di Tilery della città di Stockton-on-Tees, nel Nord-est del Paese (precisamente, in Kingston Road), è stata momentaneamente congelata, almeno fino alle elezioni generali per il rinnovo del Parlamento, previste per il mese di maggio.

Ad ogni modo, il fenomeno Benefits Street è in procinto di dilagare; la casa di produzione multinazionale FremantleMedia ha acquisito una parte dei diritti del format con l’intenzione di esportarlo e adattarlo anche in altri Paesi. Non sarà, tuttavia, un’impresa facile; il sistema dei sussidi di disoccupazione varia a seconda dei singoli contesti nazionali, così come la conformazione sociale dei quartieri e delle periferie più disagiate. Inoltre, il mondo britannico è storicamente più sensibile alle tematiche del lavoro e della perdita dello stesso, frutto di profondi traumi sociali ancora vivi nella memoria condivisa ciclicamente alimentati da una produzione cinematografica e letteraria di costante successo; un’idea di adattamento del format a cui sta lavorando FremantleMedia sembra quella di concentrarsi su altre marginalità, come per esempio l’impatto dell’immigrazione, con il rischio però di snaturare la chiave vincente, provocatoria e spiazzante allo stesso tempo, di un prodotto come Benefits Street.

 

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AgonChannel, da oggi in chiaro la Tv italo-albanese

Oggi mercoledì 26 novembre, si alza il sipario sull’avventura italiana di AgonChannel, canale televisivo albanese che sarà visibile in chiaro nel nostro Paese sul canale 33 del digitale terreste. Fondata dall’imprenditore italiano Francesco Becchetti, AgonChannel trasmette già da alcuni anni sulla tv albanese, dove ha arruolato anche diversi volti del piccolo schermo italiano, da Barbara D’Urso, che ha condotto un talk-show dal titolo Kontrate per Shqipterine molto simile ai contenitori pomeridiani che la vedono impegnata sulle reti Mediaset, fino ad Alessio Vinci, l’ex conduttore di Matrix diventato direttore editoriale del canale.

Con l’arrivo sugli schermi italiani, AgonChannel compie un salto di qualità che la accredita come emittente transnazionale in grado di connettere due Paesi divisi dal mar Adriatico, ma dove il ruolo della televisione ha svolto una funzione decisiva nel processo di avvicinamento. Dal primo ingresso della Rai a Tirana nel maggio del 1990, poco dopo la caduta del muro di Berlino (lo abbiamo raccontato con un’intervista al regista Gjon Kolndrekaj) passando per i numerosi giovani albanesi innamoratisi dell’Italia captando i segnali di programmi come Striscia la Notizia, la dipendenza della tv albanese da quella italiana ha rappresentato un importante veicolo di integrazione.

Per questa nuova avventura, AgonChannel trasmetterà da un capannone alla periferia di Tirana con evidenti risvolti sui costi tecnici e amministrativi: Becchetti ha arruolato volti noti e meno noti del panorama televisivo italiano, da Sabrina Ferilli a Luisella Costamagna, dal cantante Pupo al giornalista Antonio Caprarica, storica voce del Tg1 che dirigerà le dieci finestre informative al giorno. In un paese dove vivono oltre 500mila albanesi, AgonChannel mira a sparigliare il mercato televisivo italiano puntando sui generi più diffusi e amati dal pubblico: ci saranno quiz, talk-show e un reality sportivo come Leyton Orient, dal nome della squadra di calcio inglese di terza divisione di cui è proprietario lo stesso Becchetti. Tutto con un’impronta molto italiana; degna chiusura di un cerchio aperto venticinque anni fa con la scoperta della nostra tv, della nostra cultura di massa e del nostro stile di vita.

Quando la Rai entrò in Albania. Intervista con Gjon Kolndrekaj

Divisi dal Mar Adriatico, ma uniti da storie, culture e tradizioni che in più di un’occasione, nel corso dei secoli, li hanno visti influenzarsi l’un l’altro. Due Paesi, Italia e Albania, che condividono più di quanto l’apparenza lascerebbe supporre; c’è un filo sottile che attraversa e avvicina le sponde di due nazioni che spesso hanno visto incrociare i propri destini. Non solo colonialismo, immigrazione e relazioni commerciali, ma anche comunità, lingue e, in tempi recenti, televisione. Già, perché se c’è un aspetto che più di altri spiega la rinnovata vicinanza tra i due Paesi negli ultimi decenni, questo è da ricercare nel piccolo schermo, nella sua influenza sul processo migratorio verso le coste italiane e sulla costruzione di un immaginario che ha plasmato sogni, speranze e ambizioni di intere generazioni di giovani albanesi. La complessa vicenda del ruolo esercitato dalla televisione italiana nell’accelerare il processo di transizione e fuoriuscita dal comunismo in Albania è stata dettagliatamente affrontata da Ylli Polovina nel suo libro ‘Rai & Albania‘ (RaiEri, 2002), e recentemente è tornata d’interesse anche in ambito accademico. Snodo decisivo di quel processo fu senza dubbio una storica puntata di ‘Linea Verde‘, rotocalco televisivo della Rai dedicato al mondo dell’agricoltura, che nel maggio del 1990, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, andò in onda da Tirana e da altri luoghi dell’Albania, svelando al pubblico italiano un Paese tanto vicino quanto oscuro. La trasmissione fu trasmessa anche sulla tv di Stato albanese, ancora sotto stretto controllo del regime; per la prima volta, una troupe occidentale poteva riprendere e raccontare la nazione più povera, ostile e sconosciuta dell’intero blocco dei paesi comunisti. Artefice di quel raro momento di storia televisiva fu Gjon Kolndrekaj, regista e anima della trasmissione insieme al conduttore Federico Fazzuoli; di origine kosovara, in Italia dal 1974, Kolndrekaj fu regista del programma domenicale di Rai Uno dal 1987 al 1995. Attualmente è presidente di CrossinMedia Group, società di produzione cross-mediale e sta lavorando a un progetto di video-catechismo in diverse parti del mondo. A lui abbiamo chiesto di ripercorrere il primo ingresso della tv pubblica italiana sul suolo albanese.

Come nacque l’idea di mettere in piedi una puntata di ‘Linea Verde’ in una terra ancora ostica e difficile da penetrare? Bisogna precisare che già da alcuni anni ‘Linea Verde’ aveva un’impostazione internazionale, con almeno una puntata al mese che veniva registrata e andava in onda dall’estero. Dal 1987, quando si cominciarono ad avvertire i primi segnali di scricchiolio all’interno dei paesi comunisti, decidemmo di dedicare l’attenzione all’Europa dell’Est. La puntata del dicembre ’87 dalla Polonia fu un successo incredibile per la Rai, con 12 milioni di telespettatori e il 54% di share; girammo la Polonia in elicottero insieme a un docente dell’Università di Varsavia esperto di ecologia, sfiorando le ciminiere del sud, nei dintorni di Cracovia, e mostrando i disastri ambientali prodotti nelle foreste intorno. Qualche settimana dopo, eravamo in Jugoslavia, dove già si cominciava a respirare una brutta aria di tensioni e divisioni. Volevamo capire e raccontare cosa stava accadendo nell’Est Europa e spesso ci capitò di vivere la storia in diretta: trasmettemmo dalla Germania Orientale due settimane prima della caduta del Muro, dalla Romania tre giorni dopo l’uccisione di Ceausescu e della moglie. Nella primavera del 1990, mentre tutto il mondo ormai conosceva e parlava di ex Urss, di Polonia, di Cecoslovacchia, e così via, decidemmo di andare alla scoperta di una nazione ancora dimenticata come l’Albania.

Come avvenne la preparazione? Quali furono i rischi maggiori? Arrivammo a Tirana il 20 maggio 1990. Era un mercoledì, la puntata sarebbe poi andata in onda nella mattinata di domenica 24. Ci rendemmo subito conto che eravamo di fronte a una messinscena del regime: ci obbligarono a seguire un itinerario preciso, dove contadini ci parlavano di improbabili coltivazioni avanzate di agricoltura biologica e di energie pulite. Nei campi, incontravamo donne che si mostravano felici di zappare in terreni tanto morbidi e fertili. Tutto era costruito secondo le regole della propaganda, per cui verso sera minacciai di rientrare in Italia e di far saltare la trasmissione per non tradire i nostri milioni di telespettatori italiani. Chiesi e ottenni un incontro col presidente della Repubblica Ramiz Alia, il quale si mostrò molto affabile e, incredibilmente, ci mise a disposizione l’elicottero presidenziale con cui girare e riprendere liberamente sul territorio albanese, secondo la tradizione di ‘Linea Verde’. Quando ci chiesero che cosa avevamo ripreso, risposi che era uscito un capolavoro; chiesi infine ad Alia se poteva liberare l’antenna per trasmettere liberamente la trasmissione anche in Albania e ci fu concesso. Fu un successo clamoroso, all’ora di pranzo le strade si svuotarono e tutti coloro che avevano un televisore si chiusero in casa a vedere l’Occidente che parlava di loro.

Non pensa che il potere abbia voluto usare quest’opportunità per trasmettere un’immagine di trasparenza e incanalare un cambiamento ormai inevitabile? Sì, può darsi che per liberarsi dalla prigione che esso stesso aveva creato, il regime volesse aprirsi e cercasse una via d’uscita piuttosto indolore. Del resto, quando la televisione va alla ricerca della verità e dell’identità delle nazioni e dei popoli, diventa una forza di cambiamento inarrestabile. Purtroppo, oggi il giornalismo sta perdendo la bellezza del racconto e il pubblico sta abbandonando il piacere di essere informato sul bello, sul vero.

Come fu possibile che una popolazione arretrata e soggetta per decenni alla propaganda riuscì a farsi travolgere in quel modo dall’apertura verso la verità? Il popolo albanese ha sempre creduto fortemente nei propri valori; è un popolo mite che sa aprirsi, confrontarsi e convivere, in quanto da sempre crocevia di culture e religioni. Il regime di Hoxha ha chiuso l’anima del popolo albanese per quarant’anni, ma il senso della propria identità è sopravvissuto a tutti i soprusi.

L’Albania era pronta per quell’esposizione mediatica? No, non credo che lo fosse. Come regista e operatore della comunicazione, fu uno dei momenti più delicati della mia carriera; si trattava di far emergere la sofferenza e la speranza di un popolo di cui nessuno sapeva realmente nulla. Anche per questo motivo, decidemmo di tornare in altre occasioni in Albania: una prima volta subito dopo l’arrivo della nave Vlora al porto di Bari con 20mila migranti albanesi, nell’estate del ’91. E, infine, per raccontare l’avvio delle privatizzazioni e la fine dell’economia di Stato. Idealmente, l’ultimo tassello di una ‘trilogia sull’Albania’ che consentì a ‘Linea Verde’ e a tutta la tv italiana di vivere in presa diretta la trasformazione di un Paese a noi così vicino.

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Sky, il progetto di una pay-tv europea

imagesVerso una pay-tv europea capace di integrare i principali mercati nazionali della televisione satellitare a pagamento. Sembra essere questo, nemmeno troppo velato, l’ambizioso progetto di Rupert Murdoch, il magnate dei media detentore del colosso Sky. Questa mattina, infatti, BSkyB (British Sky Broadcasting), la piattaforma che diffonde l’offerta Sky in Gran Bretagna e Irlanda, ha formalizzato l’offerta per l’acquisizione del 100% di Sky Italia e il 57% di Sky Deutschland, che serve Germania e Austria. Entrambe queste derivazioni nazionali sono di proprietà di Fox, a sua volta controllata dallo stesso Murdoch; si tratta, perciò, di un’operazione che si svolgerà interamente ‘in famiglia’, con cifre che vanno dai 2,45 miliardi di sterline (circa 3 miliardi di euro) per l’acquisizione del pacchetto italiano più la quota detenuta da National Geographic Channel, ai 2,9 miliardi di sterline (circa 3,7 miliardi di euro) per il 57% del pacchetto tedesco.

Come si può leggere dal documento ufficiale di offerta, consultabile sul sito di BskyB, l’obiettivo è quello di dare vita a un nuovo attore della tv a pagamento che diventi leader all’intero di tre dei quattro principali mercati europei. Secondo quanto dichiarato da Jeremy Darroch, chief executive di BskyB, il nuovo soggetto sarà una pay-tv multinazionale di prim’ordine, in grado di competere a livello globale e con ampi margini di crescita; questa ipotetica ‘Sky europea’ potrebbe contare, infatti, su un mercato iniziale di cinque Paesi, 20 milioni di potenziali abbonati e una previsione di 12 miliardi di revenue, secondo quanto riportato dagli analisti di Enders Analysis, società specializzata nella ricerca sui media e le telecomunicazioni.

Il progetto di Murdoch, finalizzato anche al futuro tentativo di acquisizione della Time Warner già fallito in passato, segue di pochi mesi un’altra operazione simile (ma ancora distante da una fase di concretizzazione che sembra invece a portata di mano per il magnate australiano) che dovrebbe coinvolgere l’italiana Mediaset Premium e il network panarabo Al Jazeera, di cui abbiamo già parlato qui. Una grande pay-tv del Mediterraneo a cui si contrappone, oggi, una pay-tv europea. Con l’Italia potenzialmente coinvolta in entrambe le sfide

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Gomorra-La serie, la colonna sonora del crimine si fa globale

Non solo neomelodici. Il successo di Gomorra-La serie (in onda dal 6 maggio su Sky Atlantic, canale interamente dedicato alle serie televisive, canali 110 e 111 della piattaforma) passa anche da un impianto musicale che rompe con la rappresentazione tradizionale del mondo della criminalità organizzata napoletana per contaminarsi con influenze e sonorità che lambiscono generi e sottoculture apparentemente distanti dai codici linguistici e comportamentali storicamente radicati nelle province campane. Accanto ai pezzi di artisti napoletani della recente tradizione neomelodica, infatti, le ‘gesta’ malavitose del clan camorrista dei Savastano e delle famiglie rivali sono accompagnate da colonne sonore che attingono al rap e al post-rock fino a sfociare nell’elettronica: è il gruppo romano dei Mokadelic, attivi dal 2000 nelle scene underground metropolitane con composizioni che vanno dall’ambient al rock psichedelico, a firmare le musiche originali della serie.

Ideata dall’autore stesso del best-seller letterario Roberto Saviano, la serie televisiva Gomorra intende sottolineare la trasformazione della ‘camorra’ da fenomeno specificamente napoletano e fortemente ancorato a una visione identitaria e territoriale del crimine in organizzazione globale replicabile in decine di contesti sparsi nelle periferie del mondo. La scelta di ampliare il bagaglio musicale evitando il ricorso esclusivo alla produzione locale del neomelodico (centrale, invece, nella trasposizione cinematografica di Matteo Garrone del 2008) risponde all’esigenza di inserire il racconto del crimine in una prospettiva globale rendendolo esportabile in tutto il mondo, tanto che la serie è già stata venduta in cinquanta Paesi.

Se il racconto criminale si sradica, almeno in parte, dal contesto che lo ha visto fiorire e nel quale si alimenta, l’ancoraggio alla ‘napoletanità’ viene garantito dalla scelta di artisti e cantautori autoctoni, come i Co’Sang, capaci tuttavia, con i loro testi e le loro sonorità, di rifuggere il ripiegamento identitario per aprirsi a una narrazione cruda e rabbiosa senza spazio nè tempo.

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Mediaset-Al Jazeera, verso una grande pay-tv del Mediterraneo?

I dollari degli emiri arabi in aiuto di Mediaset? E’ sull’insolito asse tra Cologno Monzese e Doha, la capitale del Qatar, che si sta giocando una partita decisiva che potrebbe determinare buona parte del futuro dello scenario televisivo mondiale nei prossimi decenni. Nei giorni scorsi, infatti, è tornata a farsi insistente la voce di un accordo tra Mediaset Premium, la piattaforma a pagamento della principale azienda televisiva commerciale italiana, e Al Jazeera, l’emittente globale del mondo arabo. La trattativa sarebbe in fase avanzata, tanto che per il prossimo 10 maggio è previsto un incontro tra le parti per la formalizzazione di un accordo preliminare. Non è la prima volta che i due soggetti tentano un avvicinamento; già due anni fa, Il Sole 24 Ore riportava la notizia di un tentativo di acquisizione da parte del network arabo, anche in un’ottica di contenimento rispetto all’espansione di Sky. Tuttavia, oggi la situazione sembra sempre meno nebulosa e l’accordo potrebbe realmente concretizzarsi a breve. Di che si tratta, nello specifico? Come ha riportato il Corriere della Sera, l’ipotesi più accreditata riguarda la possibilità di aggiudicarsi i diritti del campionato di calcio di Serie A: grazie all’appoggio di Al Jazeera e del gruppo editoriale francese Vivendi (mediante l’emittente controllata Canal Plus), Mediaset Premium riuscirebbe in questo modo a competere con il colosso di Murdoch strappando l’intero asset di mercato riconducibile al calcio.

L’universo Mediaset non è nuovo ad accordi commerciali che travalicano i confini nazionali; dal 2002, per esempio, detiene le quote di maggioranza del network spagnolo Telecinco, mentre dalla stagione 2007-2008 ha intensificato l’acquisizione di emittenti in Paesi emergenti, come la Cina o l’area del Maghreb, attraverso Nessma Tv. Sempre in Spagna, inoltre, il network di proprietà della famiglia Berlusconi ha rilevato quote del Grupo Prisa, il gruppo editoriale possessore del quotidiano di ispirazione socialista El Paìs. Tuttavia, è forse la prima volta che Mediaset si renderebbe protagonista di un percorso inverso, ossia di cessione di fette importanti di un proprio ramo.

D’altro canto, la vocazione del network arabo Al Jazeera è proprio quella di imporsi come attore mediale globale capace di declinarsi nelle varie dimensioni locali in cui si è trovato a investire: in quest’ottica, sono nati nel corso degli anni progetti di espansione geografica, culturale e linguistica (oltre che tematica) dell’emittente che hanno toccato inizialmente la Gran Bretagna e successivamente i Balcani, gli Stati Uniti, la Turchia (e presto anche la Germania e l’Africa orientale).

In attesa di ufficializzazioni, smentite o parziali revisioni delle trattative in atto, quel che è certo è che un accordo capace di coinvolgere l’emittente per eccellenza del mondo arabo, un colosso editoriale francese, il principale attore privato italiano e, tramite quest’ultimo, una fetta importante del mercato televisivo spagnolo, aprirebbe uno scenario del tutto inedito per la creazione di un polo mediale a pagamento capace di servire l’intera area mediterranea. Un soggetto transnazionale in grado di concorrere su mercati mediali globali in continua trasformazione.

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All-Tv, la prima web-tv multietnica italiana

La prima web-tv cosmopolita mai realizzata in Italia è attiva on line dalla fine del 2013: si chiama All-Tv, ha sede a Milano, ed è stata creata grazie all’intuito di Jean Claude Mbede Fouda, giornalista camerunense in Italia dal 2007. Grazie alla somma di 15mila euro ottenuta dal Fondo europeo per i rifugiati, Fouda ha dato vita a un progetto che punta a integrare raccontando, a favorire l’acquisizione di una consapevolezza di cittadinanza attraverso la comunicazione. All-Tv, grazie a una redazione ristretta ma multiculturale, rompe con una tradizione radicata non solo in Italia, ma in gran parte dei Paesi occidentali, ovvero quella di comunità etniche chiuse e omogenee dotate di propri canali di comunicazione, spesso nella lingua d’origine. Il progetto di Fouda punta a sovvertire questa tendenza, uscendo dal recinto dei media etnici per entrare nel campo aperto, tutto da scoprire, dei media cosmopoliti, strumento di coesione e dialogo tra comunità diverse. Per questo motivo, la web-tv ofrre servizi esclusivamente in lingua italiana, lasciando tuttavia spazio alle singole specificità linguistiche in appositi blog curati dai corrispondenti.

All-tv alterna news di carattere nazionale e internazionale con informazioni, curiosità e notizie di pubblica utilità provenienti dai quartieri di Milano, dalle piccole realtà dell’hinterland, o da altre province lombarde, in attesa di espandersi anche in altre zone d’Italia. Particolare risalto hanno luoghi e momenti come le feste popolari delle comunità etniche, i consigli comunali, consolati e ambasciate, e anche aspetti socio-culturali e della quotidianità come matrimoni, eventi sportivi, concerti etnici, nella convinzione che la piena integrazione passa dalla condivisione e dal rispetto di codici, simboli, tradizioni.