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Frozen, la fiaba di Andersen e un film d’animazione sovietico come antenato

Un fenomeno globale senza precedenti nel mondo dell’animazione per bambini e ragazzi. Sebbene la Disney ci abbia abituato nel corso dei decenni a successi capaci di travalicare i confini delle nazioni (e delle generazioni), il caso di Frozen, pellicola uscita alla fine del 2013, rappresenta un caso emblematico di come l’industria culturale operi con l’obiettivo di sedimentare e cristallizzare icone e miti capaci di alimentarsi e riprodursi costantemente. Il film, vincitore di due premi Oscar come miglior pellicola d’animazione e per la miglior canzone (Let it go, riproposta in versioni e arrangiamenti sempre nuovi anche da artisti e musicisti di fama internazionale, come i Pearl Jam che l’hanno effettuata durante il concerto di Milano nel giugno dello scorso anno), ha realizzato il maggior incasso di sempre della categoria nella storia del cinema, mentre la colonna sonora è risultata essere il disco più venduto del 2014 con oltre 7 milioni di copie in tutto il mondo. Intorno a Frozen, si è poi strutturata una mania, capace di dare vita a un vero e proprio brand e ad estensioni del prodotto in diverse forme, dal merchandising all’abbigliamento fino alla costituzione di parchi a tema. 

La storia è nota: liberamente ispirata alla fiaba La regina delle nevi di Hans Cristian Andersen (1844), la pellicola dei registi Chris Buck e Jennifer Lee racconta la vicenda di due sorelle, Elsa e Anna, rispettivamente regina e principessa del regno di Arendelle, idealmente situato nei fiordi norvegesi. Sin da bambina, Elsa ha il potere di creare e manipolare il ghiaccio; un potere magico che è anche una maledizione, poiché potenzialmente non controllabile, come avviene durante la cerimonia d’incoronazione, e che costringe la regina a una vita di solitudine senza contatti con il mondo esterno.

Il racconto di Frozen non è, tuttavia, una novità assoluta nel panorama delle produzioni per ragazzi. Nonostante la Disney avesse in animo una realizzazione di questo genere almeno sin dagli anni Quaranta, mai era riuscita a trovare lo spunto per una narrazione; ci era invece riuscita la Soyuzmultfilm, casa di produzione dell’allora Unione Sovietica che nel 1957 aveva realizzato la trasposizione animata della fiaba di Andersen. Il progetto a cui lavorò il regista Lev Atamanov fu tradotto e adattato in diversi paesi, tra cui l’Italia dove ottenne un notevole successo; vincitore del primo premio nella categoria dei film d’animazione alla 18esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nello stesso anno, La regina delle nevi uscì nelle sale italiane nel 1959 (ma in televisione fu trasmessa solamente la versione statunitense, in onda per la prima volta nel giugno del 1990 su Rai Tre). Nella storia sovietica, la trasposizione della fiaba di Andersen è fedele e racconta le avventure di due bambini vicini di casa, Gerda e Kai; durante una tempesta di neve, quest’ultimo viene colpito al cuore da una scheggia di ghiaccio portatrice di una maledizione scagliata dalla maligna Regina delle Nevi (già, perchè nella fiaba originale la regina è un personaggio negativo, e forse è anche per questo che la Disney ha faticato tanto a trovare il meccanismo narrativo che ribaltasse i connotati dei protagonisti…). Tra i diversi adattamenti nazionali del lungometraggio sovietico, vale la pena ricordare quello giapponese, che ebbe una forte influenza sulla produzione del grande regista Hayao Miyazaki.

Dopo il successo di Frozen, il tema del ghiaccio è tornato in maniera dirompente nella produzione culturale e mediale americana; nella terza stagione di Once Upon a Time (serie tv di genere fantasy ispirata al mondo delle fiabe), infatti, compare il personaggio della regina Elsa, protagonista del film di Buck e Lee. Un omaggio a un successo globale e una garanzia di ascolti e interesse da parte del pubblico.